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La Battaglia di Marengo

LA BATTAGLIA – La storia del Mito

Affresco Napoleone

L’importanza della vittoria napoleonica di Marengo ha origine nella delicatissima fase di precario equilibrio in cui Bonaparte si trovava nella primavera del 1800. Una sconfitta avrebbe con ogni probabilità inciso negativamente sulla sua carriera politica aprendo scenari difficilmente valutabili. Il successo, tanto più eclatante in quanto inaspettato, consolidò il suo potere e arricchì l’aura di guerriero indomito e fortunato che lo circondava. Su questa base egli seppe costruire il suo sistema di potere, abbattendo uno dopo l’altro tutti gli ostacoli che si frapponevano fra lui e quello che sarebbe diventato l’Impero. Per queste ragioni si può dire che Marengo è stata determinante per Napoleone e per i futuri assetti europei.

La vittoria fu davvero appesa a un filo e passò inaspettatamente da una mano all’altra. Col senno di poi le cause della sconfitta austriaca furono molte e rilevanti, ma altrettante ragioni avrebbero potuto spiegare un’eventuale sconfitta francese. Certamente, però, la campagna italiana di Bonaparte fu un capolavoro di strategia, dall’invenzione di un’armata volutamente denominata “di riserva” per depistare il nemico, alla scelta del luogo del passaggio in Italia, alla sapiente gestione degli aspetti mitici che ne derivarono, alla manovra che anticipò quelle che fecero la gloria della Grande Armée, alla costante e lucida padronanza dello strumento, del tempo, dei difetti stessi del nemico. Tutto ciò costituisce il primo ambito della storia che intendiamo raccontare.

Sovraporta ligneo

Il secondo aspetto del racconto è costituito dalla compresenza del reale e dell’immaginario, se si preferisce del piano dei fatti accaduti (la Storia) e di quello del modo con cui sono stati raccontati (il mito). Certamente il racconto della storia, quale noi siamo in grado di ricostruire, presenta molte falle. Le continue incursioni di Napoleone nella ricostruzione dei fatti hanno prodotto la distruzione di molte testimonianze scritte e la modificazione progressiva delle memorie orali. Al primo caso si riferisce la nota vicenda della relazione ufficiale della battaglia redatta da Berthier alla sera del 14 giugno a combattimenti ancora in corso. Il Primo Console interviene sul testo apponendo consistenti e significative correzioni. Negli anni seguenti egli continua ad aggiungere precisazioni, correzioni, emende, ricordi e opinioni personali, fino a dar vita a un racconto avulso dalla realtà dei fatti, ma destinato a perpetuare la sua personale gloria. In questa operazione Napoleone getta sul piatto tutto il peso della propria energia e del carisma che lo ha accompagnerà ben oltre la sua morte.

Quasi nessuno si permise di segnalare le pur evidenti falsità emerse dal racconto napoleonico dei fatti, anzi i testimoni oculari che erano stati quel giorno sul campo di battaglia accettano senza difficoltà la versione dei fatti del Primo Console facendola propria, anche a costo di entrare in palese contraddizione con ciò che avevano visto e vissuto. Così i ricordi di generali e soldati si allineano al Bollettino della vittoria e alle corrispondenze del Moniteur in una spiegazione di comodo che, in fondo, accresce con quello di Bonaparte anche il valore di ciascuno di loro. Del resto chi potrebbe contraddire le parole del Primo Console nei giorni successivi alla battaglia? L’unico che non accetta le versioni di comodo è Kellermann, ma la sua voce resta inascoltata. D’altra parte nessun combattente, con l’eccezione forse di Berthier e di Desaix, ha potuto percepire la battaglia nella sua interezza. I soldati e gli ufficiali inferiori sanno solo ciò che hanno visto, molto poco in verità considerando il fumo, il fuoco, la paura e l’eccitazione, e ciò che hanno sentito raccontare.

Anche i generali non sono in situazione migliore, avendo vissuto la battaglia nel pieno dei combattimenti, con una prospettiva di poco più ampia di quella dei soldati.

Una storia diversa avrebbe potuto essere raccontata da Desaix. Accorso sul campo quando ormai sembra troppo tardi, ha un importante scambio di opinioni con Bonaparte nel quale si decidono le mosse che condurranno al finale sorprendente che tutti conosciamo. Ciò che non sappiamo è quel che si sono detti: le frasi a effetto che sono state tramandate sono evidentemente inventate e Desaix muore al primo attacco. Una versione più accurata potrebbe essere raccontata da Berthier, ma egli non è uomo da svelare segreti che il suo capo vuol mantenere nascosti, anche se una prova indiretta esiste ed è fornita dal testo che redige a caldo sull’andamento delle operazioni e che non coincide con le interpretazioni successive.

Negli anni seguenti emergono racconti divergenti dall’interpretazione ufficiale, ma Napoleone cancella e nasconde tutto. Alla fine le fonti austriache sembrano le più utili per comprendere i reali accadimenti di quel giorno.

Tutto ciò, però, non cancella né sminuisce il fatto che il mito accompagni fin dall’inizio la vittoria di Marengo finendo per diventare de facto la storia riconosciuta della battaglia.

Questa constatazione induce una conseguenza importante per la definizione della missione del museo. Trattandosi del racconto di una storia, (talvolta della storia più probabile dei fatti accaduti), esso deve tenere parimenti conto del mito. Che è, come abbiamo visto, indissolubile dalla storia raccontata e produce effetti duraturi.

È il mito di Marengo a generare l’aura di generale fortunato connaturata con l’immagine napoleonica; è ancora il mito a far sognare i patrioti italiani e polacchi su una vagheggiata patria libera e indipendente. David, nel suo celebre quadro dedicato al passaggio del Gran San Bernardo, celebra il mito, non la storia del fatto. A esso si riferiscono il nome dato al cavallo preferito dall’Imperatore, Foscolo nella sua traduzione della Relazione di Berthier, Delavo nell’idea di costruire la Villa di Marengo, Puccini in Tosca. Lo stesso Imperatore richiama il mito di Marengo la mattina di Friedland e persino in quella di Waterloo che, peraltro, è il 18 giugno e non il 14.

 

LA BATTAGLIA – Curiosità

IL “MARENGO D’ORO”
Per celebrare la battaglia Marengo, la Repubblica Subalpina conia il “Marengo”, conosciuto anche come il “Napoleone”, una moneta d’oro del valore di 20 franchi, con un diametro di 21,5 mm e un peso di 6,45 g

Il “Marengo” recava l’effige di Napoleone su un lato, prima raffigurato come console e successivamente come imperatore dei francesi. Il “Marengo” fu prodotto dal 1803 al 1815. Dopo la caduta di Napoleone la produzione di monete dello stesso tipo continuò, anche se non più con la stessa effige, e l’utilizzo del nome fu esteso a tutte le monete da 20 franchi d’oro prodotte in Francia nel XIX secondo.

Il “Marengo” divenne così popolare e d’uso comune che, a seguito dell’istituzione dell’Unione Monetaria Latina, il suo nome fu esteso anche alle altre monete dell’unione con lo stesso valore, tra le quali le 20 lire italiane.


IL MONUMENTO COMMEMORATIVO

Monumento illuminato al crepuscolo

La colonna commemorativa, innalzata il 14 giugno 1801, sorge ancora oggi a poca distanza dalla Villa di Marengo (villa Delavo, dal nome del suo ideatore e costruttore). Venne eretta, su sollecitazione del prefetto, in occasione del primo anniversario della battaglia. Con ogni probabilità l’amministrazione della Città non fu particolarmente entusiasta dell’iniziativa che veniva a incidere sulle dissestate finanze locali, e fece di tutto per risparmiare.

La colonna, molto simile a quella che sorge davanti al duomo, arriva probabilmente da un deposito comunale di resti di antiche chiese e conventi e così il piccolo monumento viene comunque innalzato in occasione del primo anniversario. Esso compare anche nel dipinto di Bagetti dedicato alla morte del generale Desaix, nonostante sia un falso storico.